1986 – LA PRIMA DI MARCO OLMO – L’IMPAZIENTE LIVIO BOAGLIO E LE MUCCHE DI RENE’ JALLA’– UN EX AEQUO E NESSUN RITIRO

C’è chi preferisce la tradizione ed al Pra sale rigorosamente a piedi e chi invece amerebbe, se solo si potesse, salire in auto e poi… c’è chi alla partenza della gara arriva direttamente a piedi da casa ovvero dalla non vicina Robilante in Valle Vermenagna e, magari, ci fa anche ritorno a premiazione conclusa. Si racconta di questo a mezza voce e non è dato a conoscere la giusta dose di realtà che abita questa leggenda!

Se si conosce il nome del protagonista allora tutto diventa più chiaro e possibile; la sua carriera sportiva è iniziata molto prima del 1986 nelle sue discipline più amate, lo sci di fondo e lo sci alpinismo. Poi venne la Corsa in Montagna e la completa celebrazione nelle corse in natura di lunghe distanze sui percorsi desertici o sulle vette alpine.

Lascio aperto il quesito se siano i campioni che fanno grandi le gare o viceversa e segnalo che nel 1986 fece la sua apparizione alla Tre Rifugi, in compagnia con Daniele Ivol, proprio Marco Olmo, già grande ma ancora all’alba della sua prestigiosa carriera.

Fu la sua unica partecipazione in coppia alla quale seguirono altre partecipazioni (ed una vittoria) nelle edizioni singole, molto più adatte al suo carattere personale e sportivo come si evince da una sua famosa affermazione: “La vita è molto più dura di una gara di corsa. E, in fondo, si è sempre soli. A volte si viaggia in buona compagnia, di tanto in tanto qualcuno è pronto a tenderti la mano. Ma quando ti trovi a un bivio, la decisione spetta a te, e a te soltanto.”

L’affermazione è in antitesi con il pensiero di Albert Camus che, invece, sosteneva: Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, non saprei dove condurti. Cammina al mio fianco e saremo sempre amici”. Però, Camus non aveva considerato le pendenze del Manzol e la dimensione del sentiero che non permette il camminare affiancati…

Livio Boaglio, invece, era salito rigorosamente a piedi dalla più vicina Villanova il giorno precedente e attendeva con una certa ansia l’esordio sulla distanza. Lo entusiasmava ma, nel contempo, metteva un certo timore riverenziale essere stato messo in contatto, per formare la coppia, con Renè Jallà alla ricerca di un compagno adeguato dopo l’abbandono dell’agonismo da parte del fratello Robi.

Non che non avesse i mezzi adeguati alla bisogna, Livio ma Renè aveva corretto quella iniziale timidezza nell’affrontare le discese ed in salita era atleta insuperabile. La notte, al riparo della tenda, Livio aveva calcolato strategie, andature e tempi. A volte Morfeo tendeva le braccia per accoglierlo nel sonno ristoratore ma poi… “le donne son come le vipere, bisogna saperle schiacciar ecc…” dalla Ciabota giungeva l’eco dei canti poco gregoriani dei cultori dei riti notturni amanti della filosofia spicciola che emana dagli eccessi enologici.

Strategie, andature e tempi determinati da quel pettorale n. 49 che li poneva al centro delle partenze delle 89 coppie pretendenti al trono. Il pettorale, al vero quello storico che avvolgeva davanti e dietro gli atleti, lo aveva ritirato anche per Renè che, orfano del fratello Robi, si era riservato di salire la mattina stessa della gara.

I canti cessarono all’alba tra le proteste degli atleti insonni ma il tempo del riposo oramai aveva lasciato spazio all’avvio dei riti propiziatori. Uno sguardo al Barant che attende ed uno a valle per scorgere l’arrivo di Renè e consegnargli il pettorale ma mentre il primo era lì immobile ma reale, del socio di giornata non c’era traccia quando oramai lo speaker chiama alla partenza le prime coppie.

Le mucche, furono le mucche a determinare l’incertezza di Renè. Lui aveva dormito poco ma non per i canti degli avvinazzati e neppure per la tensione del pregara: nella stalla, a Inverso Rolandi di Torre Pellice, c’erano però gli animali da governare ed avevano la precedenza rispetto allo svago della corsa. Così tra una mungitura ed una forcata di fieno si fece giorno, abbondante giorno, e Renè si ritrovò a Villanova alle 7,30 abbondantemente mature ed incerto sul da farsi.

Prese a salire del suo passo verso lo striscione di partenza coltivando seriamente il dubbio della rinuncia mentre nei pressi del Rifugio Jervis Livio fissava i tornanti di accesso con il cuore gonfio di speranza ed il pettorale del socio in mano.

Il vociare di amici e speaker richiamava la coppia n. 49 sulla linea di partenza quando avvenne l’incontro fatale: gli sguardi si incrociarono per un solo istante e Renè, affaticato dalla tardiva salita mise da parte dubbi e riserve. Senza dire una parola ne manifestare i suoi dubbi sull’opportunità di partire infilò il pettorale sull’abbigliamento in uso per la transumanza mattutina e fu Tre Rifugi!

Solo salendo il Barant i due ebbero modo di conoscersi più a fondo e scambiarsi un timido saluto. Renè provò anche a giustificarsi adducendo la necessità di accendere il “putagè” di casa ma si rese conto che al mese di luglio inoltrato la cosa non appariva credibile e allora tornò sulla variante mucche che gli dava anche la patente di allevatore modello. Al vero l’abbandono dell’agonismo da parte del fratello Robi, suo compagno fisso nelle precedenti esperienze, gli aveva creato seri dubbi sulla sua partecipazione alla Tre Rifugi ma c’era quell’atleta di Bagnolo che era rimasto sprovvisto del socio negli ultimi giorni e ci teneva a fare la gara…

Il confronto verbale ebbe fine prima del transito al Barant e di lì in poi fu gara vera dimostrando quanto fosse affidabile l’accoppiata, sia pure frutto di improvvisazione. Il risultato fu sorprendente: 2.22’55”. Caso unico nella storia della Tre Rifugi si determinò un ex aequo con il tempo della coppia Carlo Degiovanni – Guido Turaglio che, per decisione di giudici fededegni, li precedette in classifica al 5° posto sulle 89 coppie tutte giunte al traguardo nel tempo massimo di 5 ore.

Forti del risultato ottenuto i nostri fecero ritorno l’anno successivo alla Tre Rifugi con l’obiettivo di vincerla, al netto di mucche e poutagè: l’illusione durò fino al Colle Manzol (Ahi!) dove la filosofia pratica di Marco Olmo si impose a quella più intellettuale di Albert Camus.

Carlo Degio

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