1981: C’E’ FOLLA, AL BARBARA – IL FISCHIO DEL CAPOSTAZIONE – GIORGIO BENIGNO, NOVELLO BIKILA

La voce che si possa fare la Tre Rifugi senza sobbarcarsi altre Inutili Fatiche nel salire e scendere la mulattiera del Pra si diffonde in cielo, in terra ed in ogni luogo. Il Rifugio Barbara Lowrie, da qualche anno sede di partenza ed arrivo causa incendio al Jervis, è raggiungibile da una “comoda” strada asfaltata che risale la Comba dei CarbonieriNove km destinati a diventare una delle salite più impegnative quando in bici si saliva ancora pedalando del proprio.

Forse è questa la causa della migrazione presso il Pis della Rossa, il toponimo che accoglie il citato rifugio, di 157 coppie (2 coppie femminili) di atleti nella edizione 1981, la 10° per gli amanti di statistiche. Al vero le coppie iscritte furono 162 ma tre di queste non riuscirono a raggiungere la meta delle sofferenze di domenica 12 luglio.

All’afflusso degli atleti va aggiunto quello dei supporter e dei turisti saliti in alta montagna per sfuggire alla calura estiva. La leggenda narra che, riempiti i limitati spazi attigui al Rifugio, le auto furono parcheggiate sulla strada, dalle dimensioni non proprio accoglienti, sempre più giù fino all’alpeggio delle Selle che dal Rifugio distano circa 3 km. con conseguente risalita a piedi con passo adeguato a raggiungere la partenza in tempo utile per ritirare il pettorale e spegnere l’ansia del socio in trepidante attesa!

Ad aprire le danze con le partenze a cronometro la coppia n. 1 Ferdinando Guglielmone ed Alfredo Monnet. Alla loro 8° partecipazione i “vegliardi” della Tre Rifugi non si erano certo fatti sorprendere ed erano pronti a dare il via alle ostilità. 56 più 67 anni ne facevano la coppia più anziana e per questo ammirata e rispettata da tutti. Per il vallone risuonava fino ai piedi del Manzol il fischietto da Capostazione di Ferdinando che incitava, in quel modo, il più esperto Alfredo, fondatore dello S. C Angrogna. La loro partecipazione alla Tre Rifugi proseguì ancora nelle edizioni future non superando mai il tempo massimo di 5 ore.

L’ascesa al Rifugio Barbara tramite una “comoda” strada asfaltata fu testimone, negli anni, di colorite vicissitudini ai tempi nei quali non erano ancora troppo diffusi i cosiddetti Suv. Solo alcuni possedevano la vorace Fiat Campagnola 2000 cc di cilindrata a benzina dalla media dei 3 km al litro. Tra questi Pronello, da Torre Pellice, gestore di una stazione di servizio e l’Enel i cui bilanci gravavano sulle tasche pubbliche.

Giorgio Benigno non era tra i fortunati possessori di fuoristrada, né voraci e né parsimoniosi, ed aveva provato a raggiungere la linea di partenza utilizzando la sua utilitaria in grado, a sentire il proprietario, di fare miracoli sulla salita che precede il ponte di Pralappia. Al Rifugio Barbara lo attendeva il più esperto Bruno Bersandi oramai in avanzata fase di riscaldamento. Maledetto fu il carburatore che, sensibile ai cambi di quota, iniziò a tossire dapprima sporadicamente e poi con più insistenza proprio nel punto più ripido e stretto dell’ascesa su bitume. Fu a quel punto che avvenne l’inevitabile: la tosse cessò ma con essa anche l’ascesa dell’auto che si fermò, immobile, in centro strada impedendo il passaggio a tutti quelli che avevano scelto di salire il mattino della gara.

Il serpente di asfalto fu presto ricoperto di auto in fiduciosa attesa della ripartenza per raggiungere, in tempo utile, il luogo deputato a dare vita ai sogni costruiti con mesi di allenamento. La pazienza dei montanari durò lo spazio di cinque minuti per poi tracimare in insulti via via sempre più irriferibili!

E dire che Giorgio era uno degli ideatori della Tre Rifugi e avrebbe meritato maggior rispetto ma si sa quanta poca riconoscenza ci sia in questo mondo. La rivolta cessò per fare spazio alla ragionevolezza e qualche buon samaritano aiutò il nostro a spostare la macchina facendo riprendere il flusso ascensionale.

Per Giorgio rimaneva il problema di raggiungere la partenza, posta circa 5 km più in alto, al netto dell’aiuto della utilitaria che pareva invincibile. Fortunatamente il numero alto di pettorale gli consentiva più tempo a disposizione e, presa velocemente la borsa del cambio, risalì prima a passo adeguato e poi con un misericordioso passaggio in auto la Comba dei Carbonieri fino ad incontrare il sorriso teso di Bruno preoccupato di tanto ritardo.

A riscaldamento ampiamente effettuato, per via del decesso dell’utilitaria, Giorgio procedette velocemente al cambio d’abito per essere pronto sulla linea di partenza all’ora stabilità dal sorteggio. Qualche cosa, però, non tornava nell’abbigliamento utile ad affrontare i sentieri montani: è pur vero che l’abbigliamento sportivo era ridotto all’osso, nel secolo scorso ma le scarpe erano parte integrante di esso se non fosse ché erano rimaste nel baule del mezzo abbandonato poco sotto Pralappia…

Nella mente di Giorgio prese forma la figura di Abebe Bikila, l’atleta Etiope che vinse la Maratona alle olimpiadi di Roma nel 1960, e la tentazione di emularne l’impresa fu grande. In effetti i sanpietrini della capitale non erano molto diversi dai sassi del Manzol se non nel colore…

Bruno lo guardò dalla testa ai piedi e si soffermò su questi ultimi dotati di miserabili ciabatte del tutto inadatte allo scopo prefisso. Apprezzò la buona volontà di Giorgio ma la sua saggezza sconsigliava la partenza all’ambita gara. Quando oramai il pessimismo della ragione stava prendendo il sopravvento uno spettatore non disinteressato si fece avanti offrendo a Giorgio, con gesto eroico e generoso, le proprie scarpe da ginnastica appena comperate.

Tutto è bene ciò che finisce bene e la coppia Bruno Bersandi e Giorgio Benigno concluse la gara in 3 ore e 11 minuti, qualche unghia in meno ed un paio di scarpe da ricomprare.

Carlo Degio



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